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La notte dell’anima

Categories: L'infinitamente piccolo

“Il canto delle sorgenti” è un libro che ho letto recentemente, un commento al ” Cantico di Frate Sole” di Fra’ Eloie Leclerc  morto nel Maggio del 2017 all’età di 95 anni, uno dei più importanti studiosi di San Francesco d’Assisi, autore anche del libro ” La sapienza di un povero”. Fra’ Eloie Leclerc  nasce il 24 Giugno del 1921 a Landernau, in Bretagna e studia nel collegio francescano di Fontenay-sous-Bois. Entra al noviziato francescano di Amiens nel 1939 dove sceglie il nome di Eloie, (il suo nome di battesimo era Henri) e fa la sua prima professione religiosa nel Dicembre del 1940 a Quinper, antica capitale storica della Cornovaglia. Nel Giugno del 1940 la Francia viene occupata dai nazisti e Fra’ Eloie,  nel Settembre del  1943 viene  mandato in Germania, obbligato al lavoro come magazziniere nella stazione ferroviaria di Colonia. La Gestapo lo arresta nel Luglio del 1944 insieme ad altri sessanta seminaristi, sacerdoti e religiosi, con l’accusa di propaganda anti-nazista. Viene mandato nel campo di concentramento di Buchenwald che viene evacuato nell’Aprile del 1945 a causa dell’avvicinamento degli eserciti alleati. Dopo averli fatti camminare a piedi fino alla stazione ferroviaria di Weimar, i prigionieri vengono portati a Dachau, fatti salire in un treno merci dove centinaia di prigionieri muoiono per gli stenti e i soprusi dei nazisti. Fra’ Eloie sopravvive al viaggio e il giorno dopo il suo arrivo a Dachau, il 29 Aprile 1945, viene liberato insieme agli altri sopravvissuti dall’esercito americano.

Queste semplici note biografiche per introdurre alcuni passi del libro ” Il canto delle sorgenti”, parole che non hanno bisogno di commento ma che ci fanno entrare perfettamente nel cuore di San Francesco, in ciò che viveva nel momento in cui compose, già cieco e prossimo alla morte, ” Il Cantico di frate sole” :

“Abbiamo viaggiato tutto il giorno. Stasera il treno si è fermato in una stazioncina… Il ponte della ferrovia sopra il Danubio è stato tagliato.Siamo condannati a restare fermi lì, su un binario morto, per parecchi giorni, sei per la precisione. Giornate lunghe e terribili. Per colmo di sventura, al bel tempo succede la pioggia. Cade fredda ed insistente per tre notti e tre giorni. Siamo intirizziti dal freddo. Non c’è nulla di caldo, naturalmente, da mandar giù. Alcuni di noi, tornando dopo aver portato via i morti, sono riusciti lungo i binari a raccattare qualche pezzo di assi e qualche mattone. Sui mattoni, dentro il vagone accendiamo una specie di fuoco. E ci stringiamo tutti attorno per asciugarci e scaldarci. Ma la fiamma è troppo esile e gli scheletri non scaldano. I giorni passano per la maggior parte senza mangiare nulla. Dobbiamo accontentarci di qualche foglia di radicchio strappato in fretta sul bordo dei binari al ritorno di aver portato via i morti. I morti! Ce ne sono sempre di più. Molti compagni muoiono di dissenteria, molti di sfinimento. I cadaveri a volte rimangono tutto il giorno nei vagoni bagnati, nelle pozzanghere che si sono formate sul pavimento. L’eccesso di sofferenza ci mette un’angoscia estrema. Siamo migliaia di uomini consegnati alla fame , al freddo, ai vermi e alla morte. L’uomo è schiacciato fino in fondo, l’uomo che credevamo fatto ad immagine di Dio, ci appare come un essere senza valore, senza alcun appoggio, senza speranza…E davanti a noi si apre un vuoto immenso: quello del non senso dell’uomo e dell’inesistenza di Dio. Fra i cadaveri stesi nelle pozzanghere con gli occhi stravolti c’è un compagno, un amico. Una realtà dalla quale il Padre è assente! E’un’esperienza atroce. Laddove il Padre è assente il Figlio entra in agonia. L’agonia del Figlio è sempre il silenzio del Padre. E dove trovare la minima traccia del Padre in questo inferno? Allora comprendiamo sul serio le parole :” La mia anima è triste fino alla morte”. Nell’anima è notte. Eppure quando la mattina del 26 Aprile, uno di noi frati si trova alla fine e la luce del suo sguardo ci ha già quasi lasciati, non è un grido di disperazione o di  rivolta a salirci dal cuore alle labbra ma un canto e, un canto di lode: il Cantico di frate sole di Francesco d’Assisi! E non abbiamo neppure bisogno di sforzarci per cantarlo. Il canto sgorga spontaneo dalla notte e dall’annientamento in cui siamo come l’unico linguaggio che sia all’altezza dell’evento. Ma cosa ci spinge, in circostanze del genere a lodare Dio per la grande fraternità cosmica? Nel nostro smarrimento quello che resta e continua ad avere ai nostri occhi valore inestimabile, è il gesto di pazienza e di amicizia testimoniato da un compagno o dall’altro. Il gesto di qualcuno, sommerso come noi dall’angoscia e dalla sofferenza, è come il raggio di luce che miracolosamente attraversa il fondo tenebroso della nostra miseria. Ti ridà un volto, ti ricrea: d’ un tratto sappiamo di nuovo di essere uomini. E il gesto di cui sei l’oggetto  lo puoi fare tu a tua volta, opponendo così al regno brutale del male una libertà ed un amore testimoni di un’altra realtà. Anche se non del tutto, in questo mondo brilla ancora la carità divina. L’uomo fraterno è il testimone del Padre, chi lo vede vede il Padre.  E poi,…c’è un’esperienza stupita del mondo e del sacro nel mondo che può essere fatta soltanto nell’estrema nudità del corpo e dell’anima…E quel vasto cielo terso, così luminoso e puro sopra le nostre teste! Tutte le umili cose che ci restano da contemplare sul fondo del nostro vagone non sono solo un caso…ma parlano dolcemente all’anima. Da dove vengono la limpidezza e la purezza e l’innocenza che, attraverso le cose, ci afferrano all’improvviso? Da dove vengono la limpidezza e lo splendore del mondo che percepiamo solo nella massima povertà? L’innocenza delle cose! Possiamo sorriderne. Si tratta tuttavia di una esperienza innegabile. ” Occorre avere in sè una parte di caos per partorire una stella danzante” come diceva Nietzeche. Quanto al caos non ci manca, è tutto attorno a noi, in noi, tutto è devastato. La storia è passata sulle nostre vite come un ciclone. Ed ecco che sopra questo cumulo di rovine, brilla la grande stella della sera della Povertà...L’uomo nulla può contro la Fonte di purezza e di innocenza, non vengono da noi, affiorano in noi ma non è certo il nostro sguardo a crearle sono invece loro a ricreare in noi lo sguardo del bambino, lo ricreano quando siamo abbastanza poveri per accoglierle. Il cristiano ritrova lo sguardo del bambino sempre e solo all’ombra della Crocifissione, alla fine del viaggio. Uno sguardo spogliato fino a quel punto, esprime una immensa volontà di pace e di misericordia…e nonostante la potenza apparente del male, quello sguardo è più forte. E’ capace di sconfiggere la più mostruosa fabbrica di barbarie. Nell’infuriare della storia un tale sguardo esprime già l’ultima parola. E non è ancora abbastanza. La canta. Era questo lo sguardo che una mattina di Aprile da qualche parte nella Germania ci faceva cantare attorno al nostro fratello agonizzante. Cantare il Sole e le stelle, il vento e l’acqua, il fuoco e la terra e anche ” quelli Ke perdonano per lo Tuo amore”…Quando morì leggero, in cielo non ci fu nessun volo di allodole ma una pace soprannaturale aveva preso posto nei nostri cuori. La sera portammo fuori il suo corpo sotto i colpi delle SS che pensavano non facessimo abbastanza in fretta.

Fu l’ultimo morto del nostro vagone.                                             

                                                                                      Da ” Il canto delle sorgenti ” di Fra’ Eloie Leclerc

 

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