L’attesa è un tempo che ci fortifica o che ci rende infelici?
Aspettare a volte è una tortura: la tendenza di oggi è andare di fretta, avere lo smartphone o il pc con il processore più veloce; si preferiscono i pagamenti o gli acquisti on line per evitare l’attesa delle code agli sportelli o nei negozi; se, quando al semaforo scatta il verde le auto in prima fila non partono subito, molti automobilisti cominciano a suonare il clacson in maniera sostenuta; i bambini devono imparare a scrivere già alla scuola materna e se frequentano la scuola elementare prima del tempo è meglio; molti genitori fanno a gara con gli amici al figlio che parla, cammina o toglie il pannolino prima o se non raggiunge dei traguardi entro un tempo stabilito, entrano nel panico. Insomma, oggi più che mai, viviamo in una società dai ritmi frenetici, in cui non c’è più tempo per fermarsi a parlare con il coniuge, con i figli, fermarsi a riflettere su ciò che accade, fermarsi per dedicare un po’ di tempo a Dio, bisogna fare, fare, fare, soprattutto in maniera veloce.
Quello dell’attesa è un tempo prezioso, perché ci permette di entrare in contatto con noi stessi, di prenderci una pausa e scandire gli eventi e le esperienze della vita: l’attesa precede l’esperienza, cioè è un momento in cui ci prepariamo a vivere un evento particolare (ad esempio il matrimonio, la nascita di un figlio, un esame, una festa, ecc…); l’attesa però segue anche l’esperienza, in quanto è un tempo che, come afferma la Psicoterapia della Gestalt, ci consente di assimilare l’esperienza fatta, di sperimentare un contatto pieno e nutriente, di godere di ciò che abbiamo ricevuto nell’incontro con l’altro e che ci rimette in attesa dell’esperienza successiva. Tutta la nostra vita è un susseguirsi di molteplici cicli di contatto, di fasi che si susseguono e si alternano, e senza il tempo dell’attesa, l’esperienza rimane incompleta e influirà su quelle successive, generando un senso di insoddisfazione, di vuoto, di frustrazione. Ma questo senso di irrequietezza, di delusione, di scontentezza nonostante si abbia tutto, è molto diffuso ormai, anche tra i giovanissimi, perché si svalorizza il tempo dell’attesa e viene meno la capacità di tollerare la fisiologica frustrazione di aspettare prima di ricevere qualcosa, la fatica che si mette per raggiungere un obiettivo, di conseguenza non si sperimenta il piacere che si prova dopo aver aspettato. Spesso, non importa se in aeroporto, al supermercato o in banca… aspettare ci innervosisce e ci mette di cattivo umore!
Naturalmente, questo atteggiamento di fastidio nei confronti dell’attesa si ripercuote sul modo di vivere i tempi di Dio, i quali spesso non corrispondono ai nostri: nella Scrittura, infatti, ci sono tantissimi esempi con i quali si può vedere come il Padre operi utilizzando questo tempo. Come abbiamo già detto quello dell’attesa è un tempo prezioso da non sprecare: stiamo aspettando che Gesù si faccia uomo ed entri nelle nostre vite, e lo farà in maniera semplice, mite, umile, silenziosa, senza sfarzi, applausi, rumori, ed è così che vuole che conduciamo la nostra vita, tenendo lo sguardo fisso su di Lui, mite e umile di cuore (Mt 11,29). Quando Dio entra nella vita di qualcuno la scombussola sempre, come ha fatto con una coppia di giovani fidanzati che si stava preparando a sposarsi: Giuseppe stava finendo la casa dove avrebbe abitato con la sua giovane moglie e, Maria stava ultimando gli ultimi preparativi, e invece il Signore li ha chiamati a realizzare un progetto più grande, accogliere Gesù e farlo conoscere al mondo! Certamente non sarà stato facile accettare ciò che stava accadendo, aspettare con pazienza rimanendo all’oscuro, non capire perché non riuscivano a trovare posto dato che stava per nascere il Figlio di Dio, né tanto meno comprendere le parole di Simeone “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,34-35). Attendere non è facile, specialmente quando ci troviamo in situazioni che non avremmo mai voluto vivere, ma fidandoci di Dio, tutto diventa possibile; l’Avvento che il Signore ci chiama a vivere è un percorso nel quale contempliamo la sua fedeltà e può essere un’occasione per rinnovare la nostra fiducia in Lui, e abbandonarci nelle Sue braccia, la cui tenerezza massima nei nostri confronti è l’averci dato
suo Figlio. Ogni giorno sperimentiamo lo stress e l’ansia che scaturiscono da questa affannosa ricerca della felicità e della pienezza, Dio ci chiede invece di fermarci e contemplare Gesù Bambino, nato povero e umile, Colui che è la Verità, la Vita, la Via che conduce alla piena realizzazione di se stessi e alla pace e, che dunque ci fortifica!
Che possiamo trascorrere un Santo Natale, in Gesù luce che illumina le genti e gloria del Suo popolo!
Dott.ssa Giusi Perna
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